Oratorio di San Desiderio
Da martedì a sabato ore 8.30 - 13.30, la 2° e la 4° domenica del mese ore 8.30 - 13.30, il 1° e il 3° lunedì del mese 8.30 - 13.30.
Chiuso la 1°, 3° e 5° domenica del mese, i lunedì successivi alla domenica di apertura,1 gennaio, 25 dicembre.
Prenotazione obbligatoria da concordare almeno 3 giorni prima con la segreteria del museo al numero +39 0573 24212 e/o 0573 32204 (attivo dalle ore 8.30 alle 13.30).
Ingresso gratuito
L’Ex Oratorio di San Desiderio rappresenta la memoria di quella che doveva essere la chiesa del convento di suore benedettine di cui si hanno notizie fin dal 1084. Nel 1440 papa Eugenio IV soppresse il convento e l’edificio (assegnato alla compagnia de’ Rossi o dei Disciplinati dei Servi di Maria) venne trasformato in ospedale destinato a prestare soccorso a pellegrini e viandanti. A partire dal 1516 l’edificio fu adibito nuovamente a monastero di suore francescane (clarisse). Il monastero rimase attivo fìno a quando venne soppresso da Pietro Leopoldo e dall’allora vescovo di Pistoia Scipione de’ Ricci (1780- 91); in tale occasione l’immobile venne acquistato dal cavalier Giulio Amati che con il tempo lo vendette a 3 privati cittadini. Nel 900 venne trasformato in magazzino di legname, mentre nel 1910 Alessandrina Gelli vedova Rospigliosi donò l’edificio al demanio dello Stato che nel 1938 lo consegnò all’allora Ministero deII’Educazione Nazionale, con obbligo di conservarlo e renderlo visitabile al pubblico.
L’edificio si configura come una spoglia aula rettangolare con copertura a capanna, e presenta sul lato terminale il cinquecentesco affresco di Sebastiano Vini. L’affresco venne realizzato su quella che un tempo costituiva la controfacciata dell’edificio (parete sud); non a caso ancora oggi all’esterno sono visibili una finestra e la porta d’ingresso, che vennero tamponate in occasione della realizzazione del dipinto murale. Nella parete nord è incastonato un portico caratterizzato da archi a tutto sesto su colonne tuscaniche in pietra, a sua volta sovrapposto da una trabeazione orizzontale in pietra: doveva essere una specie di endonartece posto fra l’aula e il monastero (così come si vede anche nella chiesa di Santa Chiara). L’attuale soffitto con capriate in legno e lucernario in vetro risale al 900; tra il XVI e XVII secolo le capriate lignee furono nascoste da una controsoffittatura costituita da 11 tele dipinte da Domenico Cresti detto il Passignano, Francesco Curradi e Matteo Rosselli. Prima del 1786, l’aula ospitava un bellissimo coro ligneo intarsiato, realizzato nel 1519 da Piero Mati, padre di Giovanni, autore insieme a Bartolomeo della Residenza, conservato nella sala Maggiore del Palazzo Comunale. Sulle pareti sono presenti due affreschi staccati, raffiguranti Sant’Agnese e Maria Maddalena, attribuibili entrambi alla scuola pistoiese degli ultimi anni del XIV sec.
Questo luogo è conosciuto soprattutto per il bellissimo affresco di Sebastiano Vini detto ‘il Veronese’, (in omaggio alla nativa città) che trasferitosi a Pistoia a partire dal 1548, divenne uno dei più illustri e nrinomati pittori del territorio. L’affresco, noto con il titolo La crocifissione di San Desiderio e dei diecimila martiri (episodio svoltosi all’epoca di Diocleziano) in realtà rappresenta La crocifissione di Acacio e dei diecimila martiri sul monte Ararat. I diecimila martiri erano un gruppo di soldati romani che, guidati da Sant’ Acacio (ex centurione vissuto nel Il sec. d.C. al tempo degli imperatori Adriano e Antonino), si convertirono al Cristianesimo e vennero per questo crocifissi sul monte Ararat in Armenia per ordine dei romani. In questo affresco convivono elementi di diversa provenienza: il riferimento al colorismo veneto, l’impaginazione narrativa di derivazione nordica e il carattere fortemente devozionale; quest’ultimo, volto ad infondere all’immagine sacra una religiosità profonda e sofferta, insiste sull’aspetto pietoso e tragico e collega quest’opera di Sebastiano Vini a quel filone della pittura fiorentina contemporanea, i cui protagonisti indiscussi erano artisti come Pier Francesco Foschi, Michele Tosini e Santi di Tito.